
Mancano solo pochi ultimi sospiri prima della votazione finale. Prima della caduta del governo.
Cosa succederà da domani dopo le dimissioni di Prodi? Non lo so anche se una idea mi cova in testa ma per il momento la tengo per me...
Prevedo possibili sorprese.
Seguendo il dibattito Parlamentare in tv mi sono posto una domanda alla quale fatico a trovare risposte.
Quali sono i veri motivi di questa crisi? Francamente non li ho capiti, perchè non sono in apparenza così seri. Cosa o chi ha spinto quindi Mastella? Chi ha deciso veramente che il governo dovesse giungere ora, e solo ora, non tra sei mesi o un anno, al capolinea?
Mi direte che quando si hanno due voti di vantaggio al senato, ogni occasione è buona per cadere e che si è già durati abbastanza. Forse avete ragione, però io non credo che certe decisioni vengano prese perchè ci si alza male dal letto.
Aggiungo a questa domanda una considerazione posta da Giordano ieri sera, che si può tristemente condividere.
Peccato cadere ora che, dopo aver risanato i conti a prezzo di sacrifici e perdita di consensi, si erano trovati i fondi per iniziare a redistribuitre a famiglie, lavoratori dipendenti e pensionati.
A chi andranno ora questi soldi?
Questo si è domandato Giordano e io domando a voi, se questo gruzzolo può essere stato uno dei motivi di tanta tempestività.
Cosa succederà da domani dopo le dimissioni di Prodi? Non lo so anche se una idea mi cova in testa ma per il momento la tengo per me...
Prevedo possibili sorprese.
Seguendo il dibattito Parlamentare in tv mi sono posto una domanda alla quale fatico a trovare risposte.
Quali sono i veri motivi di questa crisi? Francamente non li ho capiti, perchè non sono in apparenza così seri. Cosa o chi ha spinto quindi Mastella? Chi ha deciso veramente che il governo dovesse giungere ora, e solo ora, non tra sei mesi o un anno, al capolinea?
Mi direte che quando si hanno due voti di vantaggio al senato, ogni occasione è buona per cadere e che si è già durati abbastanza. Forse avete ragione, però io non credo che certe decisioni vengano prese perchè ci si alza male dal letto.
Aggiungo a questa domanda una considerazione posta da Giordano ieri sera, che si può tristemente condividere.
Peccato cadere ora che, dopo aver risanato i conti a prezzo di sacrifici e perdita di consensi, si erano trovati i fondi per iniziare a redistribuitre a famiglie, lavoratori dipendenti e pensionati.
A chi andranno ora questi soldi?
Questo si è domandato Giordano e io domando a voi, se questo gruzzolo può essere stato uno dei motivi di tanta tempestività.
Le altre domande ce le porremo da domani...
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ULTIMA ORA
dopo il voto contrario al Senato Romano Prodi è salito al Quirinale a rassegnare le dimissioni
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come dicevamo il dado è tratto da domani si volta pagina in tutti i sensi.
come dicevamo il dado è tratto da domani si volta pagina in tutti i sensi.
No al governo istituzionale. Io dico con forza, elezioni anticipate subito e con questa legge elettorale. Che nessuno la tocchi. No agli inciuci e agli autogol.
Da oggi basta regali, da oggi basta sconti. Al voto e poi vedremo.
alla prossima
8 commenti:
io l'ho sempre detto: berluska fa fare il "lavoro sporco" a prodi, poi vince le elezioni anticipate e continua a fare i propri pooooorci comodi.
Per "lavoro sporco" intendo tentare di risanare, e l'unico modo purtroppo è aumentare le tasse, cosa molto impopolare (anche a ragione, se a pagare sono sempre gli stessi. E' pur vero e meritorio che questo è stato il primo governo che qualcosa ha tentato di fare contro gli evasori).
Aggiungo una mia nuova (folle) teoria: non far pagare 1 cent di tasse a chi supera i 100.000 euro di reddito. Ma i beneficiari sappiano che dovrebbero poi pagarsi anche l'aria che respirano, che non osassero chiamare nemmeno il 118 o iscrivere i figli ad una scuola pubblica: verrebbero fucilati davanti al mausoleo di lenin a mosca!
Ed il vaticano di merda se li scorderebbe gli aiuti per l'istruzione privata, così come l'8x1000!
Se dipendesse da me, un governo istituzionale durerebbe, e non dovrebbe terminare prima, fino ad aver fatto una legge elettorale con la più larga maggioranza possibile (i parlamentari sono strapagati: stiano lì anche di notte e non escano senza un accordo!) che dovrebbe essere inserita nella COSTITUZIONE, in modo che un suo successivo cambiamento sia una riforma costituzionale, con tutti i vincoli che comporta cambiare una norma della costituzione: hanno rotto il cazzo col fatto di voler ogni volta modificare le regole del gioco, in funzione della convenienza di tizio, caio o sempronio!
Ma non dipende da me.....
Caro Bolso....è ora di rispolverare il sano vecchio concetto di lotta armata....
Ci aspettano anni pessimi.
Berlusconi ha detto che la legge elettorale è ottima, basta cambiare il premio di maggioranza da regionale a nazionale per il senato ed è perfetta. Che faccia di palta.
per le sinistre è finita!
ahahahahahahahahahahahahahahahahah
Così muore il centrosinistra
di EZIO MAURO
Nemmeno due anni dopo il voto che ha sconfitto Berlusconi e la sua destra, Romano Prodi deve lasciare Palazzo Chigi e uscire di scena, con il suo governo che si arrende infine al Senato dove Dini e Mastella gli votano contro, dopo una settimana d'agonia. È lo strano - e ingiusto - destino di un uomo politico che per due volte ha battuto Berlusconi, per due volte ha risanato i conti pubblici e per due volte ha dovuto interrompere a metà la sua avventura di governo per lo sfascio della maggioranza che lo aveva scelto come leader.
Con Prodi, però, oggi non finisce soltanto una leadership e un governo, ma una cultura politica - il centrosinistra - che tra alti e bassi ha attraversato gli anni più importanti del nostro Paese, segnando la storia repubblicana.
Ciò che è finito davvero, infatti, è l'idea di un'ampia coalizione che raggruppi insieme tutto ciò che è alternativo alla destra, comunque assemblato, e dovunque porti la risultante. Prodi è morto politicamente proprio di questo. È morto a destra, per la vendetta di Mastella e gli interessi di Dini, ma per due anni ha sofferto a sinistra, per gli scarti di Diliberto, Giordano e Pecoraro, soprattutto sulla politica estera. Mentre faceva firmare ai leader alleati un programma faraonico e velleitario di 281 pagine e un impegno di lealtà perfettamente inutile per l'intera legislatura, Prodi coltivava in realtà un'ambizione culturale, prima ancora che politica: quella di tenere insieme le due sinistre italiane (la riformista e la radicale), obbligandole a coniugare giustizia e solidarietà insieme con modernità e innovazione, in un patto con i moderati antiberlusconiani.
Quell'ambizione è saltata, o meglio si è tradotta talvolta in politica durante questi due anni, mai in una cultura di governo riconosciuta e riconoscibile.
I risultati positivi di un governo che ha rovesciato il proverbio, razzolando bene mentre continuava a predicare male, non sono riusciti a fare massa, a orientare un'opinione pubblica ostile per paura delle tasse, spaventata dalle risse interne alla maggioranza, disorientata dalla mancanza di un disegno comune capace di indicare una prospettiva, un paesaggio collettivo, una ragione pubblica per ritrovare il senso di comunità, muoversi insieme, condividere un percorso politico.
Anche le cose migliori che il governo ha fatto, sono state spezzettate, spolpate e azzannate dal famelico gioco d'interdizione dei partiti, incapaci di far coalizione, di sentirsi maggioranza, di indicare un'Italia diversa dopo i cinque anni berlusconiani: ai cittadini, le politiche di centrosinistra sono arrivate ogni volta svalutate, incerte, contraddittorie e soprattutto depotenziate, come se la rissa interna - che è il risultato di una mancanza di cultura comune - avesse succhiato ogni linfa. Ancor più, avesse succhiato via il senso, il significato delle cose.
Fuori dal recinto tortuoso del governo, la destra non ha fatto molto per riconquistarsi il diritto di governare. Le sue contraddizioni sono tutte aperte, e la crisi della sinistra regala a Berlusconi una leadership interna che i suoi alleati ancora ieri contestavano. Ma la destra, questo è il paradosso al ribasso del 2008, è in qualche modo sintonica e addirittura interprete del sentimento italiano dominante, che è insieme di protesta e di esclusione, forse di secessione individuale dallo Stato, probabilmente di delusione repubblicana, certamente di solitudine civica. Nella grande disconnessione da ogni discorso pubblico, che è la cifra nazionale di questa fase, il nuovo populismo berlusconiano può trovare terreno propizio, perché salta tutte le mediazioni, dà agli individui l'impressione di essere cercati dalla politica e non per una rappresentanza, ma per una sintonia separata con la leadership, una vibrazione, un'adesione, ad uno ad uno.
Intorno si è mossa e si muove la gerarchia cattolica, che ormai lascia un'impronta visibile non nel discorso pubblico dov'è la benvenuta, ma sul terreno politico, istituzionale e addirittura parlamentare, dove in una democrazia occidentale dovrebbe valere solo la legge dello Stato e la regola di maggioranza, che è la forma di decisione della democrazia. Un'impronta che sempre più, purtroppo, è quella di un Dio italiano fino ad oggi sconosciuto, che non si preoccupa di parlare all'intero Paese ma conta le sue pecore ad ogni occasione interpretando il confronto come prova di forza - dunque come atto politico - , le rinchiude nel recinto della precettistica e se deve marchiarle, lo fa sul fianco destro.
Un contesto nel quale poteva reggere soltanto una politica in grado di esprimere una cultura moderna, cosciente di sé, risolta, capace di nascere a sinistra e parlare all'intero Paese. Tutto questo è mancato, per ragioni evidenti. La vittoria mutilata del 2006 ha messo subito il governo sulla difensiva, preoccupato di munirsi all'interno, col risultato di una dilatazione abnorme di ministri e sottosegretari. Ma i partiti, mentre si munivano l'uno contro l'altro, si disconnettevano dal Paese. Nel loro mondo chiuso, hanno camminato a passo di veti, minacce e ricatti, indebolendo la figura dello stesso Presidente del Consiglio, costretto a mediare più che a indirizzare. Si sono sentite ogni giorno mille voci, a nome del governo. La voce del centrosinistra è mancata.
Oggi che Mastella ha firmato un contratto con il Cavaliere e Dini ha onorato la cambiale natalizia, risulta evidente che Prodi salta perché è saltato quell'equilibrio che univa i moderati alle due sinistre, e come tale poteva rappresentare la maggioranza dell'Italia contemporanea. Tuttavia, senza il trasformismo (non nuovo: sia Dini che Mastella sono ritornati infine a casa) Prodi non sarebbe caduto. Barcollando, il governo avrebbe ancora potuto andare avanti, e questa è la ragione che ha spinto il premier ad andare al Senato, per mettere in piena luce sia la doppia defezione da destra e verso destra, sia l'assurdità di una legge elettorale che dà allo stesso governo la vittoria alla Camera e la sconfitta al Senato.
Da qui partirà il presidente Napolitano con le consultazioni, nella sua ricerca di consolidare un equilibrio politico e istituzionale che ritrovi un baricentro al sistema e al Paese. Il Capo dello Stato dovrà dunque tentare, col suo buonsenso repubblicano, di correggere queste legge elettorale prima di riportare il Paese al voto. La strada è quella di un governo istituzionale guidato dal presidente del Senato Marini, formato da poche personalità scelte fuori dai partiti, sostenuto dalle forze di buona volontà per giungere al risultato che serve al Paese.
Riformare la legge elettorale, e se fosse possibile, riformare anche Camera e Senato, cambiando i regolamenti, riducendo il numero dei parlamentari, correggendo il bicameralismo perfetto. Un governo non a termine, ma di scopo.
Che può durare poco, se i partiti sono sinceri nell'impegno e responsabili nelle scelte, col Capo dello Stato garante del percorso e dell'approdo.
Berlusconi è contrario a questa soluzione perché vuole votare al più presto, con i rifiuti per strada a Napoli (altra prova tragica d'impotenza del centrosinistra, locale e nazionale), con piazza San Pietro ancora calda di bandiere papiste, con il volto di Prodi da esibire in campagna elettorale come un avversario già battuto, in più in grado di imbrigliare l'avversario vero, che è da oggi Walter Veltroni.
(25 gennaio 2008)
Molti meriti, molti errori
di MASSIMO GIANNINI
Stavolta è finita sul serio. Il "guerriero", come l'ha orgogliosamente ribattezzato Diliberto, si è arreso. Triste destino, quello di Romano Prodi. L'unico leader politico di centrosinistra che riesce a vincere contro Silvio Berlusconi per ben due volte, ma per una ragione o per l'altra non riesce a governare per più di 600 giorni. Il Professore ha combattuto fino all'ultimo, ridando uno straccio di orgoglio e un briciolo di dignità a quel pezzo di coalizione che l'ha sostenuto fino all'ultimo. Ma al Senato, il suo vero Vietnam, nulla ha potuto contro il "fuoco amico" dei proto-comunisti alla Turigliatto, dei soliti trasformisti alla Mastella, degli pseudo liberisti alla Dini.
Romano si è fermato a Ceppaloni. Si compie così il destino di un governo che ha finito per pagare un prezzo di immagine e di credibilità molto più alto dei suoi effettivi demeriti. Il risanamento dei conti pubblici in appena un anno e mezzo è un risultato vero, che già di per sé basterebbe a considerare tutt'altro che inutile la pur breve e rissosa stagione del "prodismo da combattimento".
Certo, Prodi ha commesso molti errori. Se dopo il voto della primavera 2006 avesse accettato l'idea di non aver stravinto una tornata elettorale sostanzialmente pareggiata, e avesse lasciato all'opposizione la presidenza di almeno un ramo del Parlamento, oggi forse racconteremmo un'altra storia. Se avesse saputo mettere in riga giganti e nanetti dell'Unione in conflitto permanente effettivo con la stessa grinta sfoderata in questi ultimi tre giorni di crisi, oggi forse non sarebbe caduto per mano dei suoi stessi alleati.
Se avesse compreso fino in fondo la strumentale irriducibilità della scelta ribaltonista consumata dalle truppe mastellate e dal manipolo diniano, oggi forse ci avrebbe risparmiato lo spettacolo, indecente per gli eletti e umiliante per gli elettori, di un Palazzo Madama trasformato in osteria, tra insulti, sputi e bocce di spumante.
Ma l'uomo è così. Alla fine ha prevalso la linea del "meglio perdere che perdersi". Meglio affrontare la sconfitta a viso aperto, offrendo in pasto al Paese il nome e il cognome dei congiurati che uccidono il governo, e degli sciagurati che hanno reso ingovernabile l'Italia, architettando alla fine della scorsa legislatura una riforma elettorale vergognosa che proprio ieri ha prodotto l'ultimo, insostenibile corto-circuito: la fiducia alla Camera, la sfiducia al Senato. Ora che il ciclo di Prodi è finito, quello che comincia è un'avventura in una terra incognita. È quella che Giulio Tremonti definisce la "crisi perfetta", quella dove nessuno controlla niente, e nessuno capisce come se ne possa uscire.
Sul terreno politico-istituzionale restano solo macerie. Per il Professore un reincarico è impensabile. Per un governo tecnico-istituzionale alla Marini i margini sono strettissimi. Per il centrosinistra non si vedono sbocchi unitari: la Cosa Rossa di Bertinotti e company riconquista l'allegra e irresponsabile adolescenza del non-governo e delle mani libere, il Pd di Veltroni sostiene il costo più alto precipitando nel baratro del governo, e rischiando di veder trasformata la sua legittima "vocazione maggioritaria" in una traversata nel deserto incerta e solitaria.
Per il centrodestra, in mille pezzi solo fino a due settimane fa, quando le mura della Casa delle libertà erano crollate sotto i colpi di piccone della "rivoluzione del predellino" del Cavaliere, si rivede invece un orizzonte unitario. E soprattutto si riapre la strada per Palazzo Chigi. Sarà difficile se non impossibile, perfino per il presidente Napolitano, fermare la "macchina da guerra" berlusconiana, che l'uomo di Arcore vuole lanciata a folle corsa verso il voto anticipato. Con tanti saluti alla crisi dei salari, al tracollo dei mercati, al referendum di Segni e Guzzetta. Sta per cominciare, temiamo, tutto un altro film. Berlusconi Tre. La vendetta. O l'eterno ritorno. Con la stessa legge elettorale, la "porcata" di Calderoli, che ha massacrato il sistema repubblicano. Con un'altra armata Brancaleone, che andrà dal neo-fascista Tilgher al catto-populista Mastella, incrociando l'eversore padano Bossi e forse lo stesso "traditore" toscano Dini. Con l'ennesima accozzaglia di mezzi partitoni e di micro-partitini che, per garantirsi la sopravvivenza, non esistano a tenere in ostaggio un'intera nazione. Povera Italia. Meritava di più.
(24 gennaio 2008)
Microfisiologia partigiana della crisi
L'analista cinico e disilluso, abituato a trattare in modo cinico e disilluso la nostra democrazia cinica e disillusa potrebbe riassumere in modo cinico e disilluso l'esito di questa legislatura - ansiogena e convulsa. Usando, come approccio la "fisiologia partigiana". La patologia partitica, dettata dalla dipendenza del nostro sistema da una pletora di formazioni piccole e piccolissime. Partiti minuscoli, senza ideologia e senza programma. Perlopiù, riconducibili al solo leader. Alimentati e riprodotti da un sistema elettorale che impone le coalizioni preventive. E da una distribuzione del voto che divide gli italiani in due. Antiberlusconiani contro anticomunisti. Partiti che valgono poche centinaia di migliaia di voti. Per riferirsi all'ultimo punto di crisi: l'Udeur ha raccolto circa mezzo milione di voti, nel 2006. L'1,4% dei voti validi, ottenuti perlopiù in Campania. Determinanti, dato l'equilibrio delle forze in campo. Non solo fra gli elettori, ma anche in Parlamento. E soprattutto in Senato. Dove, infatti, numerosi "soggetti politici" sono in grado di condizionare le scelte della "maggioranza". Partiti individuali - o quasi - e individui senza partito. Pallaro, Di Gregorio, i Liberal-Democratici (LD: come Lamberto Dini), Turigliatto. E altri ancora, la cui visibilità dipende dal momento. Ovvio che ogni partito con basi elettorali limitate e tanto più i partiti individuali, presenti solo in Senato, temano ogni legge che ne metta a rischio l'esistenza. Ma anche l'influenza. Leggi maggioritarie veramente maggioritarie? No grazie. Proporzionali? A condizione che non pongano vincoli troppo esigenti. L'ideale: un proporzionale con soglia di sbarramento allo 0,5%. Oppure, in alternativa: una legge elettorale che "costringa" tutti a indicare le alleanze "prima" del voto. Così che, in un clima di incertezza tanto elevata, nessuno possa rinunciare a nessuno, se vuol vincere le elezioni. Leghe locali, pensionati, casalinghe, consumatori; e domani, immaginiamo, tassisti, professionisti e nimby di ogni genere, tipo e latitudine.
Nessun Vassallum e nessuna bozza Bianco; ma neppure il sistema tedesco (5% di sbarramento? Entrerebbero solo 5-6 partiti). Unica soluzione? Il "nanarellum". Un sistema elettorale che garantisca esistenza e influenza ai "nanetti", come li chiama Giovanni Sartori. Per questo, l'analista cinico e disilluso vede nel collasso di questi giorni un esito annunciato da tempo. A prescindere dalle inchieste dei magistrati. Qualcuno l'aveva pure detto, nei mesi scorsi. Ci pare Mastella, ma non vorremmo sbagliarci. (Anche perché non è il solo ad aver detto cose simili). Recitiamo a memoria: "Se si va al referendum, se questa maggioranza pensa di sostenerlo o di permetterlo; se accetterà "derive" maggioritarie, si sappia che il governo non durerà un minuto di più". Sarà un caso, ma la defezione di Mastella e dell'Udeur è venuta all'indomani della decisione della Corte Costituzionale, che ha decretato la legittimità del referendum elettorale; dopo il sostanziale stallo (fallimento) del negoziato (fra interessi impossibili da comporre) sulla legge elettorale, promosso da Veltroni e sostenuto, a parole, da Berlusconi; dopo la volontà, dichiarata da Veltroni, di far procedere il PD "da solo". Oggi, in sede negoziale. Ma anche domani, alle elezioni.
Sembra la cronaca di una fine annunciata. Colpisce una legislatura che, superato questo cupo gennaio, scivolerebbe, inevitabilmente, verso la prova del referendum.
Una questione di "fisiologia politica": è l'istinto di sopravvivenza dei partiti minimi (e non solo il loro) che sembra spingere alle elezioni, al più presto possibile. Per votare con il vituperato "porcellum". Meglio "porcelli" ma vivi, insomma.
E' una lettura cinica e disillusa, da analista cinico e disilluso. Banale e qualunquista: ce ne rendiamo conto. Utilizza argomenti mediocri. Fa riferimento agli istinti politici più elementari invece che agli accesi dibattiti dei giorni scorsi. Svaluta le polemiche aspre riguardo al rapporto fra magistratura e politica, Chiesa e Stato, cattolici e laici, Nord e Sud. I temi, gravi, della politica economica, finanziaria, internazionale, la sicurezza, l'occupazione, le morti sul lavoro. Trascura perfino la contrapposizione - a suo modo passionale - fra antiberlusconiani e anticomunisti. Dedica attenzione massima a cose minime, insomma. Lo stesso approccio, cinico e disilluso, tuttavia, suggerisce pensieri diversi e quasi opposti. Che sollevano qualche dubbio sulla fine anticipata - anzi: immediata - della legislatura. Sulle elezioni subito: ad aprile. Contro queste prospettive congiura l'istinto di conservazione dei parlamentari. Molti dei quali, se legislatura non arrivasse a metà percorso - se finisse prima di ottobre, insomma - perderebbero il diritto alla pensione. Rinuncerebbero ai numerosi benefit offerti loro dall'attuale carica. Senza alcuna garanzia di venire ricandidati e rieletti. Perché ogni seggio lasciato rischia di essere perso. Perché la concorrenza cresce sempre di più (se Mastella e l'Udeur, putacaso, confluissero nel centrodestra, a chi leverebbero posto? Posti?). Osservazioni venali e veniali di fronte alla gravità del momento e alla serietà dei motivi gridati dagli attori politici che interpretano la crisi attuale. Temi etici, estetici, programmatici, economici, deontologici, istituzionali, costituzionali e altro ancora.
Sbaglia sicuramente l'analista cinico e disilluso, quando descrive una "democrazia minima", i cui destini si decidono a Ceppaloni. Quando racconta farse che finiscono in tragedia.
(24 gennaio 2008)
Palazzo Chigi, tortelli ed Eurostar
La fine del prodismo 13 anni dopo
di MARCO BRACCONI
DIRE il prodismo è scattare istantanee. Accendere flash sulla vita politica del paese di oltre un decennio. Uno stile di governo, ma anche di uno stile di vita. Professori di Nomisma e tortellini. Viaggi in treno e colpi di fiducia. Mortadelle e privatizzazioni. Corse in bicicletta e reti di potere. Maglioncini demodè e coalizioni rissose. Tute da sci e monete uniche. Portici e grand commis. Bologna e Bruxelles. Banche amiche, pullman e feste popolari.
GUARDA LE IMMAGINI 1 - 2 - 3
La stagione del prodismo comincia tredici anni fa. Quando Massimo D'Alema gli dice "Romano, noi ti affidiamo la nostra forza". Fatti i conti significa vittorie e sconfitte. A Palazzo Chigi due volte nella polvere, due volte sull'altar. E cinque anni a capo della Commissione europea. In simbiosi opposta e parallela con l'avversario di sempre: Silvio Berlusconi.
Silvio e Romano. Il binomio attorno al quale l'Italia gira da una vita. Uno in elicottero, l'altro sulla station wagon. Uno alle Bermuda, l'altro in agriturismo. E da un decennio, mentre uno cazzeggia, l'altro sussurra. E non vuol dire che non morda.
Il Professore con l'aria da chierico nasce gran burocrate, con Andreotti si trasforma in ministro e alla fine diventa politico. Politico e inventore di politica, perché l'Ulivo è farina del suo sacco. Il sogno di fare oggi quello che ad Aldo Moro impedirono di fare gli anni di piombo. Cattolici e comunisti, ormai ex, sotto lo stesso albero. Le due grandi chiese della vita pubblica italiana da portare al governo del paese.
Il Professore è cattolico, ma adulto, come disse ai tempi del referendum sulla legge 40. E la sua chiesa laica è Bologna. Bologna la grassa e la colta. La città del centro studi Nomisma e degli amici professori di sempre: Pecci, Onofri, Berselli. L'obiettivo lo coglie sotto i portici. La domenica, a braccetto con la moglie Flavia. Fisionomicamente, l'esatta altra metà di Veronica, la first lady di Macherio. Forse più simili di quanto si possa pensare.
Tutto il prodismo è un gioco di ossimori. Prodi il buono sorridente. Ma anche il sospettoso vendicativo. Prodi democristiano, eppure bipolarista convinto. Prodi di centro, Prodi di sinistra. E l'intera stagione di Romano è come la prima e la seconda Repubblica. Questa è cominciata da un pezzo, ma la prima non è mai morta.
Lo dice la storia delle sue sconfitte. Una volta abbattuto da Bertinotti. L'altra da Mastella. "Io sto fermo, non mi muovo...", lo canzonava Corrado Guzzanti in tv. Così gli altri gli girano intorno. Una volta alla destra, una volta alla sua sinistra. Bertinotti, e dieci anni dopo Mastella. Nemici che diventano amici. Amici che diventano nemici. D'Alema, e dieci anni dopo Veltroni.
In mezzo, c'è l'Italia nell'euro. L'abbraccio con Ciampi. E l'affetto del popolo della sinistra. Per metà amore disinteressato. Per l'altra paura del Cavaliere. Nelle istantanee del prodismo non entrano tutti e quattro i milioni delle primarie. La gente in fila per il partito democratico. Il suo sogno amerikano in salsa emiliana. Il sogno che mentre si realizza è in cima alla lista dei soliti sospetti. Un altro ossimoro. Forse l'ultimo. Capita a chi vive la sua stagione in simbiosi opposta e avversaria. Come in Highlander, alla fine ne resterà uno solo. Tra i due, Silvio Berlusconi.
(24 gennaio 2008)
Momenti di profonda tristezza, il fastidio più grande sarà vedere Berlusconi che si prende i meriti di questo governo
Il presidente di Confindustria: "Ci vuole un governo per le riforme. Legge elettorale prima del voto. Al Senato spettacolo indecoroso. Noi contro il pizzo mentre Cuffaro resta al suo posto". Napolitano vuole tempi rapidi.
Appello del presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo alle forze politiche: "Prima di andare al voto serve una nuova legge elettorale che consenta agli elettori di decidere chi mandare in parlamento e che limiti il potere di veto dei micro partiti. Lo chiediamo alle forze più responsabili e avvedute di entrmabi gli schieramenti". Montezemolo sta parlando a Siena all'assise regionale dell'industria toscana
Lo psiconano ha già iniziato la campagna elettorale. Alla sua età gli rimane poco tempo per rovinare in modo definitivo l’Italia. Ha appena concluso in Senato la campagna acquisti con Dini e Mastella. Topo Gigio Veltroni è stato opzionato. Il suo dovere di sfasciare la maggioranza l’ha fatto. Prenderà il posto di D’Alema nella casa circondariale delle libertà e scriverà tanti libri sull’Africa per la Mondadori. Palleggerà anche, di tanto in tanto, con Ronaldo e Cafù nella villa di Arcore.
Testa d’asfalto ha già pronto il suo programma elettorale. Una “legge semplicissima” per limitare le intercettazioni "soltanto alle indagini per terrorismo, mafia e camorra". Un atto dovuto ai delinquenti politici, con cinque anni di carcere per chi effettua intercettazioni illegali o le divulga. E, in caso di pubblicazione, "due milioni di multa all'editore".
Non capisco questa prudenza. Perché autorizzare le intercettazioni alla mafia? Togliamo anche quelle. E anche alla camorra. Per il terrorismo varrebbe la pena di specificare: quello rosso e basta. Se è nero, non vale. Intercettazioni solo per i comunisti terroristi. Se lo psiconano deve fare una legge del cazzo, tanto vale che la faccia bene. Metti che qualche suo amico sia amico degli amici e riceva una telefonata… e che il giudice non sia in vendita. Sarebbe imbarazzante.
La scena della sconfitta di Prodi a Palazzo Madama è un miraggio. Dicono che abbia perso Valium. Non è vero, hanno perso tutti. In aula c’erano le persone che hanno distrutto il Paese. All’appello non mancava nessuno. Festeggiavano, mangiavano mortadella, sputavano, inciuciavano, stappavano spumante, svenivano, insultavano. Il Senato è stato per qualche ora la più grande discarica d’Italia. Questi signori sono nostri dipendenti. Dobbiamo riprendere in mano la nostra vita. Non è quella cosa miserabile che ci hanno fatto credere.
Lo psiconano tiene l’Italia in ostaggio da quindici anni. Altri cinque anni non li reggerebbe nessuno. Neppure lui, con o senza le intercettazioni.
beppe grillo
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